-Livorno, 11 marzo
1908 – Ozegna, 8 luglio 1944-
È nominato Tenente del Genio
Navale nel maggio 1930, nel 1932 è imbarcato per la prima volta su di un Regio
Sommergibile, il Toti, nell' ottobre 1934 sposa l'amata di sempre Luigia
Maresca che gli darà una figlia, Serena. Viene nominato Capitano nel luglio
1936 ed imbarcato sul R.S. Bandiera, dopo una parentesi a Massaua, nel 1937
viene destinato a Taranto e coinvolto attivamente nella realizzazione del R.S.
Brin., nel 1938 il trasferimento a Monfalcone per l'allestimento del R.S. Nani;
come Capo Servizio del Genio Navale è imbarcato su varie unità sommergibili
fino al maggio del 1940 presentandosi allo scoppio della guerra come uno dei
più esperti ufficiali del Genio Navale della Regia Marina.
Imbarcato nel giugno del 1940
sul R.S. Zoea rimane sul teatro di operazioni del Mediterraneo orientale fina
all' ottobre dello stesso anno quando passa a bordo del R.S. Brin sul quale
opera tra il Medirerraneo e la base atlantica di Bordeaux (Betasom) fino al
Febbraio 1941 quando prende imbarco fino al febbraio 1942 comandato sul R.S.
Reginaldo Giuliani a bordo del quale è destinato per un lungo periodo di
addestramento al combattimento atlantico presso la base germanica di
Gotenhafen; dal Marzo all'Ottobre 1942 è di nuovo in Italia, presso la grande
base di Taranto, assegnato all'Ufficio Allestimento Sommergibili.
Nell'Ottobre 1942 Bardelli
viene promosso al grado di Maggiore del Genio Navale e di seguito imbarcato
sulla corazzata R.N. Vittorio Veneto fino al Dicembre dello stesso anno in cui
fu anche imbarcato per pochi giorni sul cacciatorpediniere R.N. Bombardiere ed
impiegato nel pericoloso servizio di scorta convogli sulle rotte per la
Tunisia. Tornato a bordo della corazzata R.N. Vittorio Veneto vi rimane fino al
Maggio del 1943 con l'incarico di direttore di macchina.
Da fine Maggio 1943 e fino al
31 agosto dello stesso anno è imbarcato sull'incrociatore leggero R. N.
Scipione l'Africano di stanza a La Spezia e Genova ed a bordo del quale
partecipa al forzamento dello stretto di Messina nei confronti delle unità
leggere anglo-americane che lo pattugliavano a seguito degli eventi bellici in
Sicilia del Luglio 1943 riuscendo a raggiungere la base di Taranto.
L'armistizio dell'8 settembre 1943 trova uno sconcertato e rabbioso Bardelli
presso la sua famiglia residente a Laurana dove trascorre una breve licenza di
convalescenza.
Il 28 luglio 1944 fu conferito,
postumo, al Capitano di Corvetta F.M. Umberto Bardelli il Distintivo del
Barbarigo “Fronte di Nettuno”, numerato “3”. Sempre postuma fu conferita al
Comandante Bardelli la Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione,
che in effetti ricostruisce in sintesi la carriera e la tragica fine del
coraggioso Ufficiale:
“Ufficiale superiore di belle
qualità e di provata esperienza, sorretto da uno slancio e da una fede senza
limiti, tre volte decorato al valore; primo comandante del Barbarigo, che per
sua travolgente iniziativa per primo si allineò con gli alleati germanici sulla
testa di ponte di Nettuno, si recava volontariamente e coscientemente con le
esigue forze in una zona notoriamente infestata da bande ribelli. Giunto nella
piazzetta del paese di Ozegna cercò di esercitare opera di persuasione sugli
sbandati deprecando la lotta fratricida voluta e sovvenzionata dall’oro dei
nemici della Patria. Circondato a tradimento insieme ai suoi pochi uomini da
forze preponderanti che gli intimavano la resa rispondeva con un netto rifiuto
e fatto segno a violentissimo fuoco di armi automatiche postate agli sbocchi
delle vie di accesso alla piazza si batteva con leonino furore incitando
continuamente i pochi uomini di cui disponeva. Colpito una prima volta al
braccio continuava a sparare con una mano sola, colpito una seconda volta ad
una gamba continuava a far fuoco sino all’esaurimento delle munizioni.
Nuovamente colpito cadeva falciato da una raffica al petto con il nome d’Italia
sulle labbra. Fulgido esempio di eroismo, di altissimo senso dell’onore, di
attaccamento al dovere e di dedizione completa alla Patria adorata” Ozegna, 8
luglio 1944.
Il comandante Bardelli tenne un
discorso nel corso del quale menzionò il gagliardetto appena consegnato:
"Nello stendardo che oggi
portate alla difesa di Roma stanno tre simboli.
Decima Flottiglia MAS.
Dall'inizio della guerra, la "Decima" con tenace volontà ha portato
la distruzione e la morte alle unità nemiche riparate nei munitissimi porti, e
il giorno 8 settembre ha rifiutato il tradimento e il disonore dell'armistizio
tenendo alta la bandiera e continuando il combattimento.
San Marco. Nome fulgido che per
i fanti di mare da venti anni risuona grido di riscossa, di lotta e di
vittoria.
Barbarigo. Nome glorioso legato
a due fra le più belle vittorie della Marina nelle acque dell'Atlantico.
Fate dunque che a gloria si
aggiunga gloria".
La Spezia, caserma di San Bartolomeo - Dicembre 1943
1^ Plotone 2^
Compagnia Battaglione Maestrale che poi diverrà il Battaglione Barbarigo.
I ragazzi in
fotografia sono tutti Spezzini e molti di essi non faranno ritorno a casa.
Caserma San
Bartolomeo - La Spezia 9 - Febbraio 1944.
1^
Plotone 2^ Compagnia Btg. Maestrale poi Barbarigo al completo per il giorno del
giuramento.PRIMAVERA 1944
Comandante della X^ Flottiglia MAS Junio Valerio Borghese ispeziona il Btg. Barbarigo
reduce da una battaglia sul fronte di Anzio-Nettuno,
dietro d lui si intravede il Comandante del Btg. Capitano di Corvetta Umberto Bardelli.
PASSA IN RASSEGNA IL
BATTAGLIONE “BARBARIGO”
CHE SI APPRESTA A RAGGIUNGERE IL FRONTE
1944 - Difesa di Roma
Lago di Fogliano a Borgo
Sabotino
Avamposto - cento di fuoco - "Dora"
Sapevamo perché eravamo lì, non
era per caso, non era "la parte sbagliata", era l'Italia in guerra, è
così ci considerava il nemico. Fede e canzoni: avevamo vent'anni. Quello fu il
mio ultimo combattimento, e cosi finì la mia guerra sul campo. Non avevo
giurato, ma combattuto in varie azioni e fatto il possibile. L'Italia non mi
deve niente: scelsi ciò che ritenevo il mio dovere. Forse a un lontano
pronipote, alla fine di questo secolo, potrebbe capitare di dire: "Un mio
antenato era alla difesa di Roma nel 1944". Quell'antenato rimarrà un
anonimo qualsiasi, ma potrebbe darsi che la storia d'Italia ricordasse la
difesa di Roma, non la sua
liberazione.
Fernando TOGNI - Classe 1923
X^ MAS - Battaglione "Barbarigo"
POW - Campo "NON"
cooperatori
HEREFORD - Texas
22 FEBBRAIO 1944
Parte per il fronte di Anzio –
Nettuno il primo contingente italiano dell’Esercito della RSI. Si tratta del
battaglione “Barbarigo” della Decima Mas al comando del capitano di Corvetta
Umberto Bardelli (al centro della foto, dietro Borghese).
LA SALMA DI BARDELLI
ucciso dai partigiani della "Matteotti" di Piero Urati detto Piero Piero il 4 luglio 1944:
si nota la mancanza di due denti d'oro strappati al cadavere
ucciso dai partigiani della "Matteotti" di Piero Urati detto Piero Piero il 4 luglio 1944:
si nota la mancanza di due denti d'oro strappati al cadavere
Nel pomeriggio dell'8 luglio
1944, a Ozegna, una frazione a sud di Courgné (Torino), giunse nella piazza del
paese, per discutere uno scambio di prigionieri, un reparto motorizzato della
Decima Mas, al comando del Capitano di Corvetta Umberto Bardelli. Si trattava
di una quarantina di Marò del Battaglione "Barbarigo" reduci dal
fronte di Nettuno, che iniziarono a parlamentare con i comandanti partigiani.
Nonostante un tentativo di
resistenza organizzato da Bardelli, i partigiani ebbero il sopravvento sugli
uomini della "Decima". Il comandante Bardelli fu uno dei primi a
cadere fulminato.
L'imboscata tesa dai partigiani
costò ai marò nove morti e numerosi feriti. Alla salma di Bardelli i partigiani
strapparono due denti d'oro e gli altri marò uccisi vennero rinvenuti lordati
di letame.
LE SALME DEI MARO' GROSSO E FIASCO IMBRATTATE DI STERCO
Nei primi giorni dell'ottobre
1944, il "Barbarigo" mosse all'attacco dei partigiani attestati nella
zona di Rimordono (Torino). I Marò sbaragliarono le formazioni avversarie,
costringendo le bande a riparare in territorio francese.
IL FUNERALE DEL COMANDANTE BARDELLI
IL FUNERALE DEL COMANDANTE BARDELLI
Il 10 luglio 1944 ad Ivrea (To) Si tengono i funerali del
Capitano di corvetta Umberto Bardelli, Comandante del Btg ''Barbarigo'' e dei
suoi marò
-T.V. Piccolo
-S.T.V. Beccocci
-Capo di 3ª Credentino
-Sergente Grosso
-Marò Biaghetti
-De Bernardinis
-Fiaschi
-Gianoli
-Masi
-Rapetti
trucidati con lui in un agguato sulla piazza di Ozegna dai
partigiani di ''Piero Piero''.
I corpi furono trovati il giorno successivo spogliati degli
indumenti e dei valori personali, strappati gli anelli dalle dita e i denti
d’oro.
La salma di Bardelli troverà in
seguito dimora nella Tomba Duelli al Verano, assieme a molti dei suoi Marò, e
sarà quindi traslata il 16 giugno 2005 al Campo della Memoria, divenuto
Cimitero Militare a tutti gli effetti, dove riposerà circondata dai Caduti del
Barbarigo.
Sessanta anni dopo la fine
della guerra, il Comandante Bardelli vive ancora, perché, come disse egli
stesso: “nessuno di voi è morto finché noi non morremo tutti. E fino a quando
sarà in piedi uno del Barbarigo lo sarete anche voi”.
Ma anche dopo che l’ultimo
membro del Barbarigo seguirà il suo Comandante e i suoi commilitoni, tutti loro
vivranno per sempre nella leggenda che essi hanno scolpito, con il loro sangue
e i loro sacrifici, il loro dolore e il loro eroismo, nelle buche di Nettuno,
sulle nevi del San Gabriele e tra gli argini del Po.
STORIA DEL BARBARIGO
Il Barbarigo fu un reparto di
fanteria di marina della Xª Flottiglia MAS costituito a La Spezia nel novembre
1943.
Dato il cospicuo numero di
volontari che continuava ad affluire alla caserma del Muggiano dopo
l'Armistizio di Cassibile e la quasi totale mancanza di naviglio italiano (le
poche navi che non avevano potuto ottemperare alle condizioni d'armistizio
consegnandosi agli Alleati furono immediatamente confiscate dai tedeschi),
nell'impossibilità di poterli imbarcare, si decise di costituire un reparto di
fanteria di marina, all'interno della Marina Nazionale Repubblicana. Nacque
inizialmente, nella caserma San Bartolomeo di La Spezia, come Battaglione
"Maestrale" ed assunse successivamente il nome di
"Barbarigo", in ricordo del sommergibile del comandante Enzo Grossi,
medaglia d'oro al valor militare.
Era ordinato su quattro
Compagnie, la 2a e la 4a erano state addestrate a San Bartolomeo, mentre la 1a
e la 3a erano state trasferite per l'addestramento a Cuneo, alla caserma San
Dalmazzo. Alla metà di febbraio il Battaglione si riunì nuovamente a La Spezia. Il 19 febbraio 1944 ricevette
dal comandante Borghese la bandiera di combattimento per poi essere inviato a
combattere ad Anzio per fronteggiare lo sbarco angloamericano al comando del
Capitano di Corvetta, sommergibilista, Umberto Bardelli. Rimase al fronte per
tre mesi e lasciò il Lazio nel giugno 1944 in seguito all'entrata in Roma delle
truppe angloamericane.
Nell'estate del 1944, il
Barbarigo fu trasferito in Piemonte per ricostituire i ranghi. L'8 luglio 1944,
ad Ozegna il Comandante Bardelli e 18 uomini, impegnati in una trattativa con
un gruppo partigiano, in un clima di crescente tensione, rimasero vittime di un
agguato ( i corpi di Bardelli e degli altri caduti sarebbero stati rinvenuti
ammassati contro un muro e imbrattati di sterco ed a Bardelli sarebbero stati
staccati due denti d'oro). Sul finire del 1944, il reparto
fu inviato nel Goriziano in difesa del confine orientale esposto all'avanzata
delle truppe del IX Corpus Jugoslavo di Tito. Fu dislocato a Salcano ove ebbe
violenti scontri prima a Chiapovano e quindi sul Monte San Gabriele riuscendo
ad arginare momentaneamente gli avversari nella Battaglia di Tarnova. Seguì un periodo di riposo a
Vittorio Veneto prima dell'invio sul Fronte Sud, nell'aprile del 1945.
L'ONORE DELLE ARMI AL
"BARBARIGO"
Nella notte del 29 aprile il
"Barbarigo" si schierò per ascoltare le parole del comandante del
"I° Gruppo di combattimento Decima", Capitano di Corvetta Di Giacomo,
e di un Ufficiale di una Brigata corazzata neozelandese che fece ascoltare il
messaggio del Maresciallo Rodolfo Graziani, registrato per invitare a deporre
le armi, evitando ulteriori spargimenti di sangue.
Gli uomini del
"Barbarigo", dopo una notte praticamente insonne, inquadrati dai loro
Ufficiali, la mattina seguente entrarono a Padova armati, passando fra i
reparti di carristi inglesi e neozelandesi che resero loro l'onore delle armi.
Il 30 aprile il Battaglione si
concentrò nella caserma "Pra della Valle" e venne considerato
disciolto. I Marò furono avviati al 209 POW Camp presso Napoli, dove rimasero
circa un mese; da qui il 5 giugno furono trasferiti a Taranto e imbarcati sulla
Duchess of Richmond diretta in Algeria, destinazione il 211 POW Camp di Cap
Matifou ad una trentina di chilometri da Algeri, in prigionia.
Walter Cimino del Battaglione "Barbarigo"
1944 - Ospedale Militare del Celio, Roma
due marò del Barbarigo feriti sul fronte di Nettunia
MARO' A.U. ERNESTO GHIO DI 19 ANNI
UCCISO IL 7 FEBBRAIO 1945 A CAPPELLA MAGGIORE-VITTORIO VENETO
MARO' A.U. ERNESTO GHIO DI 19 ANNI
UCCISO IL 7 FEBBRAIO 1945 A CAPPELLA MAGGIORE-VITTORIO VENETO
Il 27 giugno 1944 periva all'ospedale di Ivrea il marò del btg. Barbarigo ANGELO CONTE.
DECORAZIONI DEL BTG.
BARBARIGO
Totale decorazioni: 167
Medaglie d'oro: 2
Medaglie d'argento: 18
Medaglie di bronzo: 41
Croci al valore militare: 69
Encomi solenni: 37
DELLA SALVA DI UMBERTO BARDELLLI
ALLA PRESENZA DELLA MOGLIE E DELLA FIGLIA
Lettera a un bandito
A proposito della vicenda
occorsa al Comandante Umberto Bardelli e ai suoi Volontari, ecco la
trascrizione di un chiarissimo documento di un Marò, Mario Tedeschi, pubblicato
su Repubblica Fascista del 18 luglio 1944, che successivamente è divenuto un
volantino fatto stampare dall’Ufficio Stampa della Decima Flottiglia M.A.S. di
Milano, con sede in Piazzale Fiume n. 1. Il titolo è «Lettera a un bandito».
«Il marò allievo ufficiale del
Battaglione “Barbarigo” Mario Tedeschi, catturato dai banditi ad Ozegna
nell’imboscata in cui fu trucidato il comandante Bardelli con 9 suoi uomini e
liberato poi, dopo 8 giorni di prigionia, ha scritto una lettera al capo della
banda. Eccone il testo: Credo, Piero, che non avrei accettato l’invito fattomi
di scrivere quanto è passato in questi giorni dall’8 al 15, se al mio ritorno
ad Ivrea non avessi veduto le fotografie dei miei compagni caduti
nell’imboscata di Ozegna. Il viso sfigurato di Bardelli, morto da eroe; la sua
bocca che le mani dei tuoi avevano lasciata spalancata dopo averne strappato i
denti d’oro; la figura orrendamente deturpata del povero Fiaschi, ucciso con un
colpo a bruciapelo nel cranio mentre già rantolava ferito; quei volti lordati oscenamente
di fango; quelle divise lacerate dall’ansia del predone che frugava, hanno
rinvigorito, se possibile, il risentimento dell’animo mio. Chi scrive queste
righe, e lo riconoscerai dalla firma, è uno che ti ha dimostrato di non aver
paura. Non sono quindi le ripetute minacce di morte, di arruolamento al
«Battaglione San Pietro», come voi dite, che mi ispirano; ma è la ferita
profonda lasciata nell’animo mio dall’aver veduto a quali punti di bassezza
possono giungere gli Italiani. Lo slavo che alla sera dell’8, sulla piazza di
Pont Canavese, ci prometteva di tagliarci prima il naso, poi le orecchie e,
infine, il ventre, è molto superiore a voi che fingeste di trattare con
Bardelli per far giungere i rinforzi e circondarci nella piazzetta della
Chiesa, dove noi attendevamo con le armi scariche, fiduciosi della vostra
parola. Venivamo dal fronte, dove avevamo combattuto non per un partito o per
lo straniero, ma per l’Italia, così come voi stessi dite di fare: eppure furono
degli Italiani che incolonnarono i 29 prigionieri per le vie di Pont Canavese,
così come furono Italiani quelli che accompagnarono la sfilata percuotendoci e
sputandoci in viso. È assai poco nobile, credimi, abbandonare all’odio e
all’insulto stupido e bestiale di una popolazione accecata, dei soldati che
hanno combattuto bene e si sono dovuti arrendere solo perché senza munizioni!
Poi tentaste di convincerci a cambiar bandiera: e per sette giorni di fila fu
un alternarsi di velate minacce e di botte propagandistiche; di menzogne
sull’andamento delle guerra e sul comportamento dei nostri Comandi. Nessuno,
del «Barbarigo», ha ceduto. Tu lo sai. Ma parliamo di voi, dei tuoi uomini, che
qui si conoscono solo attraverso le voci di due propagande opposte. Il gruppo
Piero è così composto: 1) Una grandissima parte, formata per lo più di
renitenti alla leva, che sta sui monti per paura di combattere; costoro,
logicamente, non vanno in azione, ma sbrigano i servizi; 2) una parte
risultante di individui che non possono scendere in pianura avendo commesso dei
reati comuni nel periodo dal 25 luglio ad oggi; 3) una parte minima di
individui che formano il nucleo combattente; parte in cui ho trovato qualche
raro elemento che vorrei fosse con noi. La proporzione tra i combattenti e gli
imboscati e dell’1 a 10. A questo
aggiungi che tutta la massa va avanti per forza d’inerzia, senza che sia
possibile applicare una benché minima forma di disciplina. È stato un tuo amico
che confessò ad uno di noi: «Se tentiamo di instaurare la disciplina qui
restiamo in due». Questo gruppo di persone che financo nel vestire dimostrano
la zingaresca essenza della cosa (ho visto uno dei vostri pavoneggiarsi di un
berretto da gerarca fascista con su alcune penne rosse) vive distruggendo il
patrimonio zootecnico della Valsassina, togliendo ai contadini burro e farina,
prendendo (naturalmente in nome dell’Italia) tutto quello che vuole, ovunque lo
trovi. E infatti vi vantate di non aver soldi in tasca, pur non mancando di
nulla. Con simili combattenti mi diceste di voler rifare l’Italia, ma chiunque
ragiona sa benissimo che la pace segnerà lo scioglimento improvviso dei reparti
partigiani, dato che il 99% dei componenti altro non attende che quell’ora per
tornare a casa, infischiandosene della situazione politica e dell’interesse
nazionale. È evidente quindi che voi fate il gioco degli Inglesi, che voi
proclamate di voler eliminare come i Tedeschi, e del Comitato di liberazione
nazionale, composto di elementi più o meno bastardi che speculano sul momento.
A rinforzare la cosa, noto infine che tutti i ribelli che ho incontrato vivono
esclusivamente sulla propaganda di radio Londra, la quale li sorregge con
menzogne che vengono tranquillamente bevute. Non fummo forse avvisati nel
nostro periodo di prigionia che Londra aveva comunicato che Milano era stata
violentemente bombardata e che uno sciopero generale era scoppiato a Genova,
Milano e Torino? Allontanati da ogni contatto, i tuoi uomini guardano oggi con
gli occhi che loro volle dare il nemico: credi, Piero, che questo sia bene per
l’Italia? Non si deve forse proprio a questo la tremenda confusione di idee che
ho notato fra voi, per cui combattete per Badoglio chiamandolo «bastardo»? Vi
dite comunisti ossequiando i preti, vi chiamate liberi affidando il servizio
viveri e il controllo dei rifornimenti ad un inglese, proclamate l’uguaglianza
lasciando che il Comitato di liberazione vi abbandoni sui monti senza un soldo,
appropriandosi dei vari chili di biglietti da mille lanciati dagli aerei, vi
dite patrioti terrorizzando le innocue popolazioni con le requisizioni forzate
e con i saccheggi. Questa l’impressione fotografica dei ribelli di Val Soana.
Del periodo di prigionia non credo sia necessario parlare. È stato un
alternarsi continuo di ansie e di calma, durante il quale siamo stati trattati
con ipocrita cordialità. Il fatto che ci abbiate costretti in trenta in due
stanzette, obbligati a lavare i vostri piatti, promessa ogni giorno la libertà,
sono cose trascurabili di fronte al dolore provocato nel vedere quanto in basso
sia caduta questa nostra Patria adorata. È per questo che noi, Piero, ci
auguriamo di tornare presto al fronte. Ti sia ben chiaro però che mentre
dall’imboscata di Ozegna tu non hai guadagnato che i pochi oggetti che avevamo
indosso (ci toglieste persino la cinghia dei pantaloni) e il nostro denaro, noi
abbiamo riportato il ricordo incancellabile della voce di Barbarigo che grida:
«Barbarigo non si arrende! Fuoco!», additandoci così la via della vendetta e
dell’onore.
Mario Tedeschi
Da “Repubblica Fascista” del
18-7-1944
Borghese con il suo
Ufficiale Addetto Mario Bordogna e il Com.te Umberto Bardelli
SPILLA DEGLI APPARTENENTI AL BTG. BARBARIGO
FEBBRAIO 1944-ROMA PIAZZA VENEZIA
LE BANDIERE DELLA X^ MAS E DEL BATTAGLIONE BARBARIGO
Il 19 Febbraio 1944 il Comandante consegna la Bandiera di Combattimento al Battaglione Barbarigo, in partenza per il fronte di Nettunia (primo nome di Anzio e Nettuno).
APRILE 1944-FRONTE DI NETTUNO
BARDELLI CON IL PRINCIPE BORGHESE COMANDANTE DELLA X^
FEBBRAIO 1944-ROMA
SCHIERAMENTO DEL BARBARIGO
FEBBRAIO 1944-LA SPEZIA
IL CAPPELLANO DON GIUSEPPE GRAZIANI
BENEDICE LA BANDIERA DI COMBATTIMENTO DEL BARBARIGO
MARZO 1944-NETTUNO
AUSILIARIA DEL BARBARIGO DISTRIBUISCE I VIVERE
FEBBRAIO 1944-ROMA
UN REPARTO DEL BARBARIGO
MARZO 1944
Marinai del btg. Barbarigo sul fronte di Anzio e Nettuno
in un momento di tregua contro le forze angloamericane
Questo è ciò che fece
il Barbarico al comando del tenente Giulio Cencetti
Il 15 aprile ci fu un attacco
di mezzi corazzati canadesi nel settore della 2a compagnia che perse i
capisaldi "Erna" e "Dora". Lo stesso giorno, al comando del
tenente Giulio Cencetti, i marò ripresero le postazioni perdute. Il 19 aprile
un ulteriore attacco sul fronte della 2a compagnia. Ai primi di maggio cambi:
la 4a compagnia sostituiva la 2a, la 1a alla 3a che si trasferiva a Terracina a
sorvegliare il litorale. Il 26 aprile il Comandante Bardelli fu’ inviato a La
Spezia per un incarico superiore. Il TV Vallauri ebbe l’onore di assumere il
comando del battaglione. Ancora un attacco americano al fosso del Gorgolicino, dove
c’era la 4a compagnia. I marò resistettero agli assalti e contrattaccarono il
nemico. Alle prime ore del 23 maggio gli angloamericani attaccarono Anzio in
direzione Cisterna, utilizzando tre divisioni per tagliare la strada statale
Casilina. Il 24 maggio il Barbarigo e il Gruppo Artiglieria San Giorgio ricevettero
l'ordine di ritirarsi. Le tre compagnie si diressero in direzione di Sermoneta
e Bassiano. La 2°, attaccata da mezzi corazzati a Cisterna, la 4a resistette
agli attacchi presso Norma. Gli artiglieri del San Giorgio, dopo aver esaurito
le munizioni, fecero saltare le artiglierie . La 3a compagnia ripiegava da
Terracina ricongiungendosi al resto del battaglione. Il plotone comandato dal
GM Alessandro Tognoloni (251 compagnia) venne accerchiata da carri Sherman
americani. Al grido di "Decima! Barbarigo", i marò andarono
all'assalto dei carri. Tognoloni cadde colpito. Per gli atti di valore compiuti
sul fronte di Nettuno gli fu concessa la Medaglia d'Oro. Il 31 maggio il
Barbarigo arrivo’ a Roma e si radunò nella caserma di Maridist, in Piazza
Randaccio sede attuale del 3° Reggimento San Marco. La sera del 4 giugno le
avanguardie della 5a Armata americana entrarono in città. La mattina del 5
giugno i sopravvissuti del Barbarigo marciarono in direzione di La Spezia. Nel
giugno 1944 la "Decima" trasferì i suoi battaglioni nell'alto
Piemonte. Il "Barbarigo" fu il primo reparto a giungere nella
regione, sistemandosi nella zona del lago di Viverone e successivamente a Pont
Canavese. Nel pomeriggio dell'8 luglio, a Ozegna (Torino), giunse nella piazza
del paese un reparto motorizzato della Decima Mas, comandata dal CC Umberto
Bardelli. Si trattava di reduci dal fronte di Nettuno. Nel paese era operativa
un gruppo partigiano comandata da Piero Urati. Bardelli era li per uno scambio
di prigionieri (ed erano disarmati). L'atmosfera era apparentemente calma. Il
dialogo si svolse con toni pacati da entrambe le parti. Mentre i capi
partigiani trattavano con gli ufficiali della "Decima", circa
duecento partigiani circondavano la piazza e le strade adiacenti. I capi della
Resistenza con una scusa chiesero di allontanarsi dalla piazza. Dopo pochi
minuti, mentre Bardelli e i suoi uomini aspettavano il ritorno, nella piazza si
abbatte una fuoco incrociato. Nonostante il tentativo di resistenza, gli i
uomini della "Decima" vennero sopraffatti . Il comandante Bardelli fu
uno dei primi a cadere ucciso (nove morti e numerosi feriti). Nei primi
dell'ottobre 1944, il Barbarigo attaccoò i partigiani attestati nella zona di
Rimordono (Torino). I marò costrinsero le bande a passare il confine francese. Il
25 ottobre il Barbarigo lasciò Ponte Canavese per il fronte orientale dove giunse
il 29 a Vittorio Veneto. Nella zona, la pressione esercitata contro la
frontiera italiana e sulla città di Gorizia dai partigiani sloveni del "IX
Corpus" appoggiati da formazioni comuniste italiane, richiese l'intervento
del Barbarigo, con la 2a e 3a compagnia del battaglione "Valanga". I
reparti della "Decima" rastrellarono la zona, infliggendo ingenti
perdite ai Titini. Alla fine di dicembre
il Barbarigo, con altri reparti della divisione "Decima" fu inviato
sul fronte dell’Isonzo per fronteggiare il "IX Corpus" che minacciava
la città di Gorizia. Il Barbarigo fu il primo reparto ad essere impiegato
contro gli slavi, risalì la Biasima occupando l'abitato. Poi occupò Cal di
Canale, Localizza e Chiappavano. Ai primi di febbraio 1945 la divisione
"Decima" lasciò Gorizia, ma il battaglione Barbarigo restò ancora
nella zona a difesa dei confini orientali della Repubblica e sui monti San
Marco e Spino respinse gli attacchi dei partigiani sloveni. Contrattaccando,
ancora una volta i marò sconfissero il nemico. A metà marzo giunse l'ordine di
trasferimento sul fronte sud. Il reparto partì da Vittorio Veneto il 20 diretto
a Rovigo. Il giorno 27 entrò in linea alle dipendenze del comando "I°
Gruppo di combattimento Decima", composte oltre dal Barbarigo il Lupo, gli
NP, il Freccia e il Gruppo d'artiglieria Colleoni. Il 20 aprile, il Barbarigo
iniziò il ripiegamento verso nord attraversando il fiume Po in località Oro. A
Santa Maria Fornace, i marò sostennero uno scontro con reparti della brigata
"Cremona" del regio esercito del sud (in uniforme britannica). Il 27
aprile il Barbarigo giunse in serata a Conserve. Nella notte del 29 aprile il
Barbarigo si schierò per ascoltare le parole del comandante del "I° Gruppo
di combattimento Decima", CC Di Giacomo, e di un ufficiale di una brigata
corazzata neozelandese che fece ascoltare il messaggio del Maresciallo Rodolfo
Grazianti, registrato per invitare a deporre le armi, evitando ulteriori
spargimenti di sangue. Gli uomini del Barbarigo, inquadrati dai loro ufficiali,
la mattina seguente entrarono a Padova armati, passando fra i reparti di
carristi inglesi e neozelandesi che resero loro l'onore delle armi.
Marinai del btg. Barbarigo sul fronte di Anzio e Nettuno
in un momento di tregua contro le forze angloamericane
Il Comandante dei Barbarigo, Giulio Cencetti, nel 1950 su "il
Meridiano d'Italia", rievoca le gesta dei battaglioni della Decima Mas sul
confine orientale e la figura del Comandante Luigi Carallo: «... ma c'è Luigi
Carallo che dobbiamo ricordare. Il Colonnello dei Bersaglieri che aveva messo
giù il piumetto per il basco della Decima. Che aveva combattuto lassù anni
prima da tenente. Asciutto nel volto, sentimentale quanto può esserlo un
signore salernitano. Carallo, quello che fece il Fulmine, il suo Fulmine, in
cui vedeva ì suoi vent'anni del 1917 ritrasmettersi nel cuore dei ragazzi. Per
primo la sorte volle ancora che dovesse muovere il Barbarigo. Nell'alba
nebbiosa, ad attendere il Battaglione sul passo del Monte Santo, c'era lui
solo. Qualche ciocca della ribelle chioma, mal contenuta nel basco, si agitava
quasi a rappresentare il piumetto di allora. Disse qualche parola ai ragazzi.
Sarò con voi, dopodomani, prima di entrare nella selva di Tarnova, Ma se lo
rivide circa una settimana dopo al Battaglione, il Colonnello. Aveva voluto
mantenere la promessa. I primi a incontrarlo furono il Tenente Castellari ed in
Tenente Succhielli, i quali, con una rapida puntata si portarono con i loro
plotoni nel brullo, distrutto caseggiato di Locavizza, per vedere di rompere il
cerchio stretto dal IX Corpus intorno al tragico vallone di Chiapovano, dove si
era attestato il Barbarigo, sostenendo scontri estenuanti nel più infido dei
terreni. E lo portarono giù, dai marò che lo aspettavano. Nudo, nella sua
bianca magrezza, con una grande rosa rossa che lasciava cadere i petali di
sangue dalla gola squarciata. Era steso sul fondo, verde d'erba cosparsa, in
uno di quei rustici carretti carsici che scendeva lentamente, sobbalzando.
L'immensa chioma d'argento, finalmente libera, mandava barbagli al pallido sole
morente di quel triste tramonto del 21 dicembre 1944. Dissero i ragazzi che
vicino a lui avevano ritrovato venti bossoli di cartucce di mitra, di mitra
italiano. Aveva sparato fino all'ultimo. Si era difeso, morente, fino a vuotare
il caricatore, il Colonnello, guardando bene in faccia il nemico... Il
Colonnello fu messo in fretta nella chiesa deserta di Chiapovano, avvolto in
una coperta da campo perché già gli slavi ricominciavano a sparare.... E dalla
fredda chiesa discese pian piano Carallo da Chiapovano, a Gargaro, al Monte
Santo, giù a Gorizia. Quante, quante italiane velate di nero seguirono in un
pianto muto il feretro fasciato di tricolore dell'ultimo bersagliere dall'ancora
d'oro... Addio Colonnello!». Il 4 novembre 1954 le spoglie del Comandante sono
esumate con altri due caduti del Fulmine, il marò se. Giuseppe Ferrari e il
marò Giovanni Crotti. Presente è anche la sorella, Maria Carallo e i figli
Luciana e Bruno. La vedova, che ha avuto in quei giorni un grave lutto per la
perdita della mamma, attenderà la salma
LA "MASCOTTE" DEL BARBARIGO
APRILE 1944
ALCUNI MARO' STAMPANO IL GIORNALE DEL BARBARIGO
APRILE 1944-FRONTE DI NETTUNO
IL CAPPELLO DEL BARBARIGO ACCOMPAGNA LA SALMA DI UN MARO'
CADUTO IN COMBATTIMENTO
BARDELLI E BORGHESE CON I MARO'
UFFICIALI DEL BARBARIGO
TRUPPE DELLA X^ MAS CON LA BANDIERA DI GUERRA
Muggiano (La Spezia)
Ottobre 1943.
Squadra calcistica composta da elementi del btg. Maestrale poi Barbarigo
Squadra calcistica composta da elementi del btg. Maestrale poi Barbarigo
1944
fucilieri del Barbarigo in marcia
Padre Giuseppe
Graziani , cappellano del Barbarigo.
Già Volontario nella Guerra
d’Etiopia in veste di Cappellano Militare, poi, dopo le vicende dell’8
settembre ’43, Cappellano della Xª Flottiglia MAS nel Battaglione “Barbarigo”, trascorsi
alcuni mesi di fronte, dove si prodiga nell’assistenza spirituale ai
combattenti della Repubblica Sociale Italiana, ammalatosi, rientra a Verona
dove, comandato dall’Ordinariato Militare (col grado di Capitano) diviene
Cappellano della XXI Brigata Nera.
Da ACTA uno scritto tratto da
LA PATRIA degli Italiani.
Don Giuseppe Graziani nasce a
Bardolino il 2 maggio 1901 e muore a Rovereto il 12 aprile 1992. Sacerdote nel
1924, diviene Curato della Parrocchia di Avesa, Frazione a Nord di Verona. Nel 1935
è Volontario nella guerra d’Etiopia come Cappellano della Compagnia Reparti
Celeri in Somalia che trasportando 4 Battaglioni indigeni e agli ordini del
Generale Rodolfo Graziani concorre alla vittoria contro le bande di Ras Destà a
Neghelli, il 30 gennaio 1936. Rimpatria nel 1937 per malaria ed è Cappellano
effettivo al Comando dell’Aeronautica di Palermo. Nel 1938 passa al Comando
della Marina di La Spezia. dove lo sorprende l’8 settembre 1943. Dopo due mesi
è Cappellano della X Flottiglia MAS. E’ con il Battaglione Barbarigo e ne
diviene un simbolo quando il 19 febbraio 1944 riceve a La Spezia la Bandiera di
Combattimento. Per 3 mesi è in prima linea a sostenere i suoi Marò e il 24
maggio segue il Reparto nella ritirata. Giunto a Roma, per incarico dei Parroci
delle zone più vicine al fronte e sfollati con la popolazione sui monti oltre
la piana di Littoria, si presenta in Vaticano. Richiede un urgente invio di
viveri. Scavalcando personalità in attesa e con l’uniforme sporca di fango è
introdotto da Pio XII, un Papa sofferente per le sciagure della guerra che
incombono anche su Roma, ma che mostra interesse per l’assistenza spirituale
prodigata dai Cappellani della RSI. Un treno carico di provviste per gli
sfollati pontini proveniente dall’Emilia è fermo perché mitragliato. Viene dato
l’ordine di ripetere il trasporto. Ammalatosi, lascia La Spezia per Verona
dove, comandato dall’Ordinariato Militare che aveva a Verona la Sezione Nord e
promosso Capitano, diviene Cappellano della XXI Brigata Nera. Ottiene dal
Platzkommandatur 1009 di Verona il consenso a far disperdere nella vallata,
dalla popolazione ed entro le 6 dell’indomani, il tritolo della polveriera di
Avesa. Quando nella ritirata fuori e dentro la caverna le casse verranno
incendiate l’esplosione non causerà danni. Dopo inevitabili 15 giorni di
fortezza dell’Ordinariato, è segregato per 7 mesi in convento. Assolto dalla
CsA di Verona, riprende servizio al 9. CAR di Bari. A seguito di caduta, nel
1949 ha il congedo. Trova ospitalità presso la Diocesi di Rovereto ed insegna
in una Scuola finché può.
Una Batteria del Battaglione Barbarigo ( Xa MAS ) in
azione sul Fronte di Nettuno
20 NOVEMBRE 1954
LETTERE DI BORGHESE PER LA TUMULAZIONE AL CIMITERO DEL VERANODELLA SALVA DI UMBERTO BARDELLLI
ALLA PRESENZA DELLA MOGLIE E DELLA FIGLIA
Battaglione Caduti del "Barbarigo"
Prof. Fernando Togni -
"Orfani di Patria - Siamo quelli che siamo"